La Memoria Rende Liberi. La Vita Interrotta di una Bambina nella Shoah, di Liliana Segre ed Enrico Mentana

Ho letto La memoria rende liberi, di Liliana Segre ed Enrico Mentana (edito da Rizzoli) un po’ di tempo fa, ma soltanto oggi riesco a scrivere quella che, certamente, non definisco una recensione. Su libri come questo non possono essere espressi dei giudizi perché si tratta di veri e propri documenti storici, testimonianze autentiche e dolorose di chi ha avuto la forza e il coraggio di raccontare.

Sentivo la necessità di prendere il mio tempo per metabolizzare quanto avevo letto in quelle pagine e mettere in ordine l’infinità di pensieri e riflessioni che ne sono scaturiti.

Enrico Mentana, che ha firmato anche l’introduzione del testo, ha ripercorso la vita di Liliana Segre in tutti gli aspetti che l’hanno caratterizzata: la sua infanzia e il profondo legame con il padre Alberto, le persecuzioni razziali, la deportazione nel lager e poi il ritorno alla libertà ma anche la depressione e poi la serenità recuperata grazie all’amore del marito Alfredo e dei tre figli.

Liliana era una bambina di soli otto anni quando nel 1938, con la sua famiglia, si ritrova ad affrontare le conseguenze delle leggi razziali. Sarà espulsa dalla scuola ed “etichettata” come alunna di razza ebraica, costretta a scappare e a nascondersi in un estenuante viaggio sino al confine svizzero dove, purtroppo, lei e suo padre non troveranno la salvezza ma la porta per i cancelli di Auschwitz.

Da quel lager Liliana tornerà sola e dovrà affrontare ancora non poche difficoltà per cercare di recuperare la cosiddetta normalità. L’orrore da cui è riuscita fortunatamente a sopravvivere non è di facile comprensione da parte di coloro che non lo avevano visto e affrontato; nessuno vuole più sentire parlare della guerra e nessuno sembra interessato a quello che ha passato nel campo di sterminio.

Mia nonna, appena mi vide, il giorno stesso in cui tornai, mi chiese se ero ancora vergine. Mi offesi a morte…avevo subito mille violenze, psicologiche e fisiche – le botte, il freddo, la fame- e sapere che la donna che avevo sempre considerato un’ispirazione aveva come unica preoccupazione la mia verginità mi deluse profondamente.

Ripenso a quando ero solo una bambina di 4 anni e sapevo che mio nonno materno era stato un soldato della seconda guerra mondiale, che era stato prigioniero a Rodi e che aveva uno strano solco dietro alla nuca. Puntualmente, ogni volta che andavamo a trovarlo, io chiedevo spiegazioni su quella ferita così particolare ma lui mi rispondeva sempre allo stesso modo, che se l’era procurata cadendo. Non parlava quasi mai della guerra, neppure con mia madre e i suoi fratelli e, se lo faceva, era per raccontare episodi non drammatici. Mio nonno è mancato a soli 67 anni, quando io ne avevo cinque e ancora tante domande da fare.

Solo quando ebbi l’età adatta per comprendere, mia madre mi rivelò che quel segno sulla nuca era dovuto a un proiettile sparato dal fucile di un tedesco che gli sfiorò la nuca mentre il nonno e altri soldati erano in un terreno intenti a raccogliere delle patate per potersi sfamare.

Forse è proprio da allora che, man mano, ho iniziato a maturare la “domanda delle domande”: ma come è potuto accadere agli ebrei tutto quello che oggi sappiamo? Possibile che nessuno fosse a conoscenza di ciò che stava avvenendo?

La risposta è in questo libro, nella testimonianza di Liliana Segre.

Il nazismo e il fascismo non hanno avuto origine perché un esercito si è imposto in maniera coercitiva su una popolazione, ma perché Hitler e Mussolini hanno avuto il sostegno e la complicità di un alto numero di tedeschi e italiani. Ed è fondamentale, oggi, ricordare sempre i soprusi commessi dalle nazioni, compresa l’Italia. Nel nostro Paese, infatti, vi erano molti italiani che erano spie fasciste e che riscuotevano denaro per ogni persona venduta ai tedeschi. Sì, avete letto bene, vendevano le persone. E coloro che lo facevano non erano persone che ricoprivano delle cariche particolari o avevano qualche potere, ma erano italiani come tanti.

Seppi anche il nome di chi aveva fatto la spiata. Era un fascista che incassava 5000 lire per ogni persona venduta ai tedeschi, una cifra ragguardevole a quei tempi.

Questa testimonianza racchiude il significato intrinseco di quello che può avvenire se la società convalida certe idee (come la vendita di vite umane), se si abitua all’orrore ignorando le richieste di aiuto di chi soffre ed è in pericolo.

Quindi, all’origine del male c’è l‘indifferenza.

La chiave per comprendere le ragioni del male è l’indifferenza: quando credi che una cosa non ti tocchi, non ti riguardi, allora non c’è limite all’orrore.

Quando andavo a scuola non si parlava della Shoah; posso dire di aver appreso ciò che era accaduto alla popolazione ebraica solo grazie ai miei studi e approfondimenti personali.

Infatti, è solo nel 2000 che la riforma Berlinguer introdusse nei programmi scolastici la storia del Novecento e successivamente, nel 2001, venne istituito il Giorno della Memoria.

Queste due tappe hanno sicuramente segnato un miglioramento nella percezione dell’argomento, ma mi chiedo se sia sufficiente un solo giorno all’anno per ricordare ciò che è stato affinché non si ripeta mai più.

In realtà le iniziative nel Giorno della Memoria si basano, molte volte, sulla proiezione di film come Schindler’s List di Spielberg e La vita è bella di Benigni. Come è riportato anche nella testimonianza della Senatrice Segre, queste pellicole purtroppo non sono una ricostruzione storica ma presentano molti elementi romanzati. Soprattutto nel caso de La vita è bella possiamo definire il film una vera e propria favola: nel lager era impossibile nascondere un bambino, così come era impossibile parlare al megafono alla propria moglie che si trovava nella sezione femminile. Roberto Benigni non ha mai precisato che il suo film era una favola e non una ricostruzione storica; questo fa sì che vengano diffuse le informazioni errate e che quindi si creda che ciò che viene proposto in quelle scene possa essere accaduto realmente o che, all’interno del lager, fossero possibili determinate azioni. Purtroppo è solo finzione.

Troppe volte, in nome di una bella finzione, si è banalizzato l’Olocausto

Per questi motivi leggo e mi documento solo mediante vere testimonianze; non ho mai amato le storie romanzate o di pura finzione perché non hanno, secondo me, nessuna finalità alla reale conoscenza storica dell’argomento, ma solo spettacolarizzazione di una catastrofe che non può essere sminuita o arricchita da contorni di fantasia.

Con le loro testimonianze la Senatrice Segre e gli altri sopravvissuti compiono atti d’amore nei confronti delle nuove generazioni, trasmettendo messaggi di speranza e forza.

Noi possiamo soltanto provare a immaginare quanto coraggio e quanta fatica siano stati necessari per raccontare e rivivere quel periodo così doloroso; per questo motivo solo un semplice “grazie” non è sufficiente: ognuno, per come può, dovrebbe contribuire alla diffusione della verità storica creando sempre più occasioni di informazione e non solo una volta all’anno.

Se ancora non lo avete fatto, adesso è il momento giusto per leggere questo libro.

Liliana Segre è nata a Milano nel 1930 in una famiglia ebrea. Deportata ad Auschwitz-Birkenau all’età di tredici anni, ha perso nel lager il padre e i nonni paterni. Oggi ha tre figli e tre nipoti. Nel 1990 ha iniziato a raccontare la sua esperienza da sopravvissuta e ha ricevuto numerosi riconoscimenti e onorificenze per il suo impegno di testimone. Nel gennaio 2018 è stata nominata senatrice a vita.
Enrico Mentana nasce a Milano nel 1955 ed è un giornalista e conduttore televisivo. Dirige il Tg di La7 e da dicembre 2018 è editore di Open, il giornale online da lui stesso fondato.

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