“Le Malerbe” è un romanzo grafico della fumettista coreana Keum Suk Gendry-Kim, edito da Bao Publishing. Narra una storia vera, il racconto diretto di una sopravvissuta sulle confort women dell’esercito imperiale giapponese.
Ma chi erano le cosiddette “donne di conforto”? Erano ragazze, spesso poco più che bambine che, durante la guerra di conquista del Giappone contro la Corea e la Cina nei primi anni Quaranta, venivano rapite, vendute e costrette a lavorare come prostitute, vivendo in condizioni terribili.
Questo libro porta alla luce un dramma, una storia profondamente dolorosa che è stata volutamente nascosta e negata, ma che è fondamentale conoscere e non dimenticare.
“Le Malerbe” sono tutte le donne che, proprio come l’erba, vengono piegate ma non si spezzano e, in questo libro, la coraggiosa testimonianza di nonna Yi Okseon, ci fa conoscere ogni dettaglio di una storia crudele.
Dicono che noi donne siamo come l’erba o come i giunchi di bambù. Seguiamo l’andamento del vento; possiamo essere calpestate ma è difficile spezzarci. Eppure ce la mettono tutta per romperci le ossa
L‘Autrice incontra Yi Okseon nella House of Sharing, museo della memoria e luogo di accoglienza delle confort women sopravvissute. Il romanzo inizia proprio raccontando il rientro in Corea di nonna Yi Okseon dalla Cina, dove la donna era stata deportata. La narrazione si alterna tra passato e presente con i disegni della protagonista mentre, seduta sul suo letto, racconta la storia all’Autrice.
La fumettista ha realizzato delle straordinarie tavole in bianco e nero, quest’ultimo ottenuto con carboncino, pennello e pennino; le immagini diventano sempre più cupe e scure man mano che la storia prosegue nelle fasi più drammatiche. Alcune pagine sono completamente nere.
Nel 1934, Yi Okseon è una bambina che vive in Corea con i genitori e i fratellini in condizione di grande povertà. Il suo desiderio più grande è quello di andare a scuola ma le verrà sempre impedito perché, all’epoca, le donne venivano discriminate e solo i maschi potevano ricevere un’istruzione. Quindi, la giornata della piccola Yi Okseon consisteva nel badare ai fratelli più piccoli, aiutare in casa e sopravvivere ad una realtà difficile e complicata, dove il cibo non era sufficiente per tutti e l’ombra della guerra era sempre più vicina.
In quegli anni le ragazze, soprattutto quelle provenienti da famiglie povere, finivano per lavorare come cameriere, “kisaeng” (intrattenitrici) e, nella peggiore delle ipotesi, come prostitute.
La bambina si convince che il sogno di andare a scuola stia finalmente per realizzarsi quando un giorno viene venduta (a sua insaputa) dai genitori ad una famiglia agiata che le avrebbe dato la possibilità di studiare ma, in realtà, scoprirà poi essere solo un inganno poiché sarà sfruttata per svolgere i lavori più umili.
È il 1942 quando, mentre è in strada per un servizio, viene rapita da alcuni uomini coreani e deportata in Cina, nella città di Yanji, in una delle tante Stazioni di Conforto.
Qui, insieme ad altre ragazze, diverrà una confort women destinata a subire violenze di ogni genere da parte dei soldati giapponesi, ogni giorno, continuamente.
Da quel momento sono tante le sensazioni che si accavallano: paura, vergogna, dolore, disperazione, impossibilità di fuggire e tornare dalla famiglia. È l’essere umano che viene annullato e privato di tutto, bambine e ragazze trasformate in semplici oggetti di piacere su cui soldati senza scrupoli sfogano tutta la loro brutalità, indifferenti alla sofferenza e al dolore, fisico e psicologico. Un dolore che, giorno dopo giorno, logora anima e corpo.
Ma se si finisce all’inferno, in quell’inferno bisogna cercare la forza di sopravvivere.Un filo di speranza, un qualcosa a cui aggrapparsi per non impazzire
Una orribile schiavitù che va oltre l’immaginario, infanzia e pubertà cancellate, schiacciate da una violenza assurda. Neppure la malattia trovava spazio nella comprensione: le ragazze che si ammalavano non venivano curate; solo quelle con malattie sessualmente trasmissibili venivano prese in considerazione, ma soltanto perché altrimenti non avrebbero potuto continuare a “lavorare”. Venivano, però, curate con metodi “di fortuna” pericolosi che provocavano danni gravi e permanenti all’organismo. In qualsiasi condizione si trovassero le ragazze erano obbligate a subire costantemente le violenze dei soldati.
Tra gli aspetti che più mi hanno colpito c’è indubbiamente il coraggio di nonna Okseon nel voler portare alla luce una storia così dolorosa, un dramma ancora poco conosciuto, per far valere i suoi diritti.
Questa è una storia che non vi lascerà indifferenti: vi farà rabbrividire, commuovere, sarete angosciati. Vi farà anche arrabbiare perché è una delle pagine più drammatiche e scandalose della storia che per tantissimo tempo è stata tenuta nascosta e negata tanto che, anche dopo la liberazione, sarà difficile per le sopravvissute ricucire i rapporti con la famiglia di origine.
Anche se le mie sorelle all’inizio volevano vedermi, quando hanno scoperto che ero stata nelle Stazioni di Conforto, non hanno più voluto avere a che fare con me
“Le Malerbe” era un’opera necessaria, la memoria storica di una donna che, come lei stessa afferma, sin dall’infanzia non ha mai vissuto un momento felice, che ha lottato tutta la vita per sopravvivere e lotta ancora oggi per veder riconosciuti i suoi diritti e quelli di tutte le altre donne vittime nelle Stazioni di Conforto e che, nonostante tutto, riesce a trovare ancora la forza di scherzare per sdrammatizzare.
Grazie a questa importante testimonianza ognuno di noi ha la possibilità di conoscere e sapere come siano andati i fatti “per non dimenticare“, perché chi con coraggio ha lasciato la sua testimonianza lo ha fatto per noi e per le generazioni future, affinché ciò che è accaduto a loro non possa ripetersi mai più.
Keum Suk Gendry-Kim: ” Per quanto modesto, questo libro è dedicato a nonna Yi Okseon, figlia gentile, donna forte, madre devota ai suoi figli, accogliente e calorosa con i propri vicini. A tutte le nonne vittime della schiavitù sessuale dell’esercito giapponese che ci hanno già lasciato e a tutte le magnifiche persone che resistono e sono ancora qui. Grazie.“
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