Paolo Bosisio: “Faccio il regista d’Opera all’Estero”. Una chiacchierata sul mondo del teatro con il Preside de “Il collegio” – L’intervista

Paolo Bosisio, regista, attore, docente di Storia del Teatro e dello Spettacolo all’Università di Milano e anche il famoso Preside de “Il Collegio“, il docureality di Rai 2 più visto della TV italiana.

Un vasto quanto prestigioso curriculum artistico che lascia a bocca aperta.

Bosisio il teatro ce l’ha nel sangue. Ed è proprio da qui che è partita la nostra piacevole chiacchierata.

Quando è nata la sua passione per il teatro e poi anche la scelta di fare il docente universitario?

La passione per il teatro, probabilmente, scorreva nel mio sangue. Quando avevo nove anni ed ero in quinta elementare, sono andato nell’ufficio della Direttrice della scuola e le ho detto: “Senta, io voglio fare uno spettacolo”. Lei mi ha guardato stupita: “Come uno spettacolo?” E io le dissi che volevo fare un misto tra burattini, di questo, di quello…Una follia. Ma lei mi disse che andava bene, potevo fare quello che volevo. Così ho organizzato un primo spettacolo di cui mia mamma si vergognava quando è venuta a vederlo (sorride), ma che comunque dimostrava la mia passione prematura per quel mondo. La Direttrice della scuola, invece, mi ha premiato con una medaglia d’oro, definendomi un bambino dalla “mente vulcano”, usò proprio queste parole. Poi la passione ha continuato negli anni successivi su diversi versanti. Prima di tutto, a sei anni, ho iniziato ad andare a teatro regolarmente come spettatore insieme a mia nonna; lei era una melomane e aveva il palco alla Scala. A nove anni ho iniziato a frequentare il Teatro di Prosa accompagnando mia madre che era separata e non aveva nessuno che le facesse compagnia, quindi mi portava con lei. Almeno tre, quattro volte al mese, andavo a teatro. Nella mia famiglia, i due primi cugini di mia nonna e di mio nonno materni erano Giuseppe Giacosa, un grande drammaturgo, e Ildebrando Pizzetti, grande musicista. Quindi un po’ di sangue “scorreva”! Ho iniziato a lavorare attivamente nello spettacolo da quando avevo 17 anni, inizialmente come assistente di Fantasio Piccoli e poi di Luchino Visconti in teatro. Poi sono passato alla televisione facendo l’assistente di due registi e in seguito sono diventato a mia volta regista quando avevo 21 anni. A un certo punto, a 28 anni circa, ho pensato che se avessi deciso di metter su famiglia senza uno stipendio non sarebbe stato facile. In quel periodo, il professore con cui mi ero laureato mi aveva chiesto di lavorare con lui, successivamente mi è stato offerto di fare un concorso per entrare in ruolo. L’ho fatto, ho avuto la fortuna di vincerlo e sono diventato ricercatore. Quindi avevo uno stipendio che, seppur modesto, mi permetteva di vivere ed era sicuro. La mia carriera accademica è iniziata così, mettendo insieme la mia passione per la cultura e la certezza di uno stipendio fisso.

Attualmente, nel suo lavoro, di cosa si sta occupando?

Da circa 25 anni anni ho iniziato ad occuparmi di regia di opera lirica. Per molti anni ho fatto anche il direttore artistico di teatri importanti: prima del Teatro del Vittoriale e poi del Teatro Giacosa di Ivrea. Ho iniziato a fare il regista d’opera un po’ per caso, come tutto quello che è accaduto nella mia vita, ma tutte le cose sono collegate alla mia grande passione di fondo. Oggi faccio il regista d’opera all’estero. Ci si può chiedere perché un italiano vada all’estero: la ragione è molto semplice. Come tutti sanno, gli italiani sono esterofili e da molti anni i nostri teatri sono principalmente in mano degli stranieri, non perché se li siano presi, ma perché noi glieli abbiamo dati. Gli ultimi quattro sovrintendenti della Scala sono stati tutti rigorosamente stranieri, il che significa che la Scala è totalmente in mano agli stranieri. Mi riferisco soprattutto al Teatro d’Opera. Al contrario, gli stranieri, avendo letto un po’ di libri, sono convinti che l’Italia abbia fatto la storia dell’Opera; ma mica solo questa, l’Italia ha fatto la storia della cultura nel mondo. Ce ne siamo dimenticati, ma basta studiare un po’ partendo dal Rinascimento in avanti, tutta la cultura si è sviluppata in Italia. Loro, quindi, sono illusi che quando chiamano un italiano questi porti con sé la cultura italiana e che se si chiama un regista italiano, magari capisca qualcosa dell’Opera italiana, per esempio la lingua. Quando ci si rivolge ad un regista inglese o tedesco, c’è un piccolo problema, ovvero che questa persona per leggere il libretto e capirlo ha bisogno di un’interprete che, a sua volta, può avere difficoltà a tradurre una lingua poetica come quella dell’ Ottocento o del Settecento, sto pensando in questo momento alle opere di Mozart. Quindi accade che mi chiamano (e ci chiamano, non sono il solo) regolarmente dall’estero, mentre in Italia chiamano sempre registi inglesi, tedeschi e russi che non conoscono l’italiano. Questa è la ragione per la quale noi registi italiani non lavoriamo nel nostro Paese, salvo qualche eccezione.

Quali sono le sue considerazioni sui registi di oggi e qual è, secondo lei, il futuro del teatro?

Innanzitutto si devono fare delle distinzioni. Parlando di teatro drammatico, il teatro di prosa, c’è da dire che l’Italia invece di arrivare in anticipo, come ha fatto per moltissimo tempo, è arrivata in ritardo. Siamo arrivati al teatro di regia, cioè alla presenza determinante di un regista come autore del prodotto artistico, tra la metà e la fine degli anni ’40 del Novecento. All’estero, invece, in Francia e in particolare in Russia, di regia si parlava e si faceva già cinquant’anni prima. Nonostante questo, siccome siamo italiani e abbiamo qualche piccola dote nel nostro sangue che ci siamo dimenticati di avere, siamo riusciti nel giro di dieci anni a “bagnare il naso” agli stranieri e abbiamo sparato tre generazioni di registi una meglio dell’altra a partire dalla prima, il cui capostipite è stato per motivi anagrafici Visconti, nato nel 1906, e poi un gruppo importantissimo di registi nati negli anni ’20, fra cui Strehler, De Bosio ed altri; poi subito dopo quelli nati negli anni ’30. Più avanti ci sono stati vari eventi: il ’68, la contestazione del ruolo del regista e molte cose che sono state determinanti nella nostra storia culturale. Logicamente i tempi cambiano, così come anche le esigenze e quindi quelle tre generazioni di registi sono sfumate. Ormai è rimasto solo Gianfranco De Bosio che approfitto per salutare, ha 95 anni e fa ancora regia d’Opera. Adesso c’è un teatro diverso, ovviamente io ho amato pazzamente il teatro di regia perché in Italia è nato con me, cioè negli anni in cui ho smesso di “bere il latte dalla mamma” ed iniziavo a capire. Per me il grande teatro drammatico è stato il teatro di regia della prima e seconda generazione, punto. Adesso sono troppo vecchio per capire, non è colpa dei registi ma sono io che non comprendo più loro. Non trovo più cose belle da vedere e ho smesso di andare a teatro. Vado, invece, ancora all’Opera perché ha una base più resistente, una tradizione forte e un pubblico anche molto fedele a questa tradizione. Come le raccontavo, io vado alla Scala da quando avevo sei anni, quindi ho visto la Scala per quarant’anni sempre colma di persone. Vent’anni fa, se lei avesse voluto andare alla Scala non trovava i biglietti, o aveva degli amici o non ci andava. Oggi, invece, succede che la Scala a volte è mezza vuota e quando non è mezza vuota, osservando quanta gente c’è al primo atto, all’inizio del secondo ve ne è metà. Si vede che quel pubblico non ama molto quei registi francesi, tedeschi, russi che vengono qui da noi a fare gli spettacoli.

Quale è stata la sua reazione quando le hanno proposto il ruolo del Preside ne “Il Collegio”?

Io ho fatto l’attore da giovane, ma poi mi sono anche dimenticato di quell’esperienza perché avevo capito, fin da allora, che non avevo nessuna voglia di far l’attore e preferivo fare il regista. Dopo così tanti anni ho ricevuto una telefonata da una mia laureata che non vedevo da anni che mi ha detto che stavano per fare in Italia una serie che derivava da un format francese e che, secondo lei, ero la persona giusta per fare il Preside. Le ho risposto: “Ma cosa dici, alla mia mia età mi vuoi far fare l’attore?” E mi disse di provare a guardare. Mi mandò questa serie francese e una serie inglese, le guardai e pensai fosse una cosa carina, un po’ strana. Ero stupito che tutto ciò potesse avere un senso, ma lei insistette ed io feci la prima serie. Quando mi trovai sul set ero preoccupato perché pensavo: ma questi ragazzi che sono ripresi in reality e che quindi reagiscono come gli pare, come possono avere soggezione di me che non sono il loro vero Preside, ma sono un attore? Invece accadde che loro avevano soggezione (sorride) ed il gioco funzionò fantasticamente.

Sono numerosi i giovanissimi che la seguono sui social e che amano il personaggio del Preside, severo ma giusto. È questo equilibrio il segreto del suo successo?

Inizialmente non avevo ancora aperto un profilo Instagram, avevo solo il profilo Facebook che ho ancora adesso e che è strettamente riservato. All’inizio della quarta serie, quindi a luglio del 2019, il mio amico e “collega” Andrea Maggi, il professore di Italiano, mi disse: “Ma perché non apri un profilo Instagram?” E alla fine lo aprì. Il mio account ha meno di un anno e ho attualmente 223 mila follower, un numero abbastanza importante in pochi mesi. Non so spiegare quali siano i meccanismi che muovono le persone a seguire qualcuno, io cerco di assumere atteggiamenti che sono consoni a quelli del Preside perché è questo che voglio raccontare. È abbastanza divertente quando incontro la gente: vengo fermato per la strada, negli aeroporti, dato che io viaggio moltissimo e anche all’estero mi hanno fermato. Una volta mi hanno detto: “Ma lei è il Preside!” Ti parlano proprio come se fossi un vero Preside e i genitori mi chiedono: “Ma senta, cosa mi consiglia per mia figlia che va male in matematica?”; è questa la cosa incredibile, il fatto che nella mente della gente io sia diventato il personaggio, ovvero il mio personaggio è diventato la realtà.

In questo periodo ha avviato su Facebook una serie di conversazioni sulla Commedia dell’Arte, Arlecchino e Giorgio Strehler. I social, se usati con intelligenza, possono essere un ottimo strumento di comunicazione e diffusione della cultura, è d’accordo?

Sì, in linea generale. Questa cosa che sta accadendo non è avvenuta per caso. Io ho lasciato l’Università di mia scelta circa una decina di anni fa perché ero stanco di fare il professore e avevo altro per la testa e non credo assolutamente come hanno scritto su un giornale che i social siano meglio dell’Università, sia ben chiaro. In questo momento in cui infuria una pestilenza i social svolgono un ruolo molto importante. L’idea è stata di un mio amico, Corrado D’Elia, regista e attore, che un mese e mezzo fa mi chiese: “Ti piacerebbe leggere qualcosa, dato che stiamo pensando alla gente che è a casa?”. E io accettai con piacere. Scelsi alcune pagine di un diario di guerra che mi piace molto, “Il Sergente della Neve”, di Mario Rigoni Stern e feci un piccolo video. Iniziarono a scrivermi gli amici di Facebook chiedendomi di leggere ancora e quindi la prima cosa che feci fu leggere tutto il romanzo. Ma non bastò, i miei ex allievi mi chiedevano di fare anche qualche lezione di Storia del Teatro. All’inizio ero un po’ reticente ma poi decisi di provare a farlo. Ho organizzato prima le tre lezioni sulla Commedia dell’Arte, poi le due su Arlecchino, poi sono passato a parlare di Strehler, per me un grande amico e Maestro, lo considero il più importante regista del ‘900 in Italia e in Europa. Quella su Giorgio Strehler sarà una serie di almeno sette/otto puntate. Dopo di che prometto che starò zitto! (sorride)

Io mi auguro che scelga di continuare perché è un’ottima iniziativa ed anche un grande regalo da parte sua il fatto di dare la possibilità di apprendere, conoscere ed esplorare il mondo del teatro, raccontato e spiegato da chi lo vive in prima persona.

Grazie. Il bello è proprio che nelle ultime conversazioni su Arlecchino e in quelle su Giorgio Strehler sto parlando, appunto, di cose che ho avuto la fortuna di vivere. Mentre quando ho parlato della Commedia dell’Arte l’ho fatto come frutto dei miei studi (grazie a Dio non ero vivo nel 1545!), ora sto parlando di cose che ho guardato con i miei occhi: ho visto tutti gli spettacoli di Streheler a partire dagli anni ’60, in più sono diventato suo amico, ci si vedeva a casa sua, si stava insieme alle prove. Spero di riuscire a trasmettere questi momenti della mia vita a chi, come voi giovani, non ha avuto la stessa fortuna che ho avuto io, quella di essere spettatore vivente di queste cose.

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Sociologa Consulente in Culture Digitali e della Comunicazione | Life Coach certificato | Lifestyle Blogger